Roman Opalka – Dire il tempo


Roman Opałka Dire il tempo è un progetto a cura di Chiara Bertola e realizzato da BUILDING e da Fondazione Querini Stampalia. Si sviluppa in due capitoli e il 6 maggio negli spazi del museo allestito all’interno di Palazzo Querini Stampalia, sede dell’omonima fondazione, è stato inaugurato il secondo capitolo della mostra.

Le due sezioni dell’esposizione sono incentrate sul programma OPAŁKA 1965 / 1- INFINITO in cui l’artista ha impegnato gran parte della propria esistenza nel tentativo di rappresentare lo scorrere del tempo e di circoscrivere l’infinito entro forme visibili e misurabili.

A Venezia una mostra dedicata a Roman Opałka con opere di Mariateresa Sartori

All’interno della mostra di Venezia, che si potrà visitare fino al prossimo 24 novembre, è presente un nucleo di opere di Mariateresa Sartori, nata a Venezia, dove vive e lavora, che con l’artista aveva intessuto in città una intensa frequentazione, i cui lavori instaurano un dialogo con le opere di Opałka, attraverso la ricerca comune sui temi del tempo, della durata, della contingenza e la condivisa ricerca di un visibile in grado di esprimere l’invisibile.

“Dire il tempo” nasce dalla volontà di indagare la produzione di Roman Opałka attraverso una selezione di opere che segnano tappe fondamentali nella sua ricerca, molte delle quali mai presentate prima in Italia o mai esposte, provenienti da importanti collezioni private e pubbliche, tra cui il museo Muzeum Sztuki di Łódź e soprattutto il Fonds de Dotation Roman Opałka, con cui è nata una stretta collaborazione nell’ideazione del progetto.

Le opere di Roman Opałka e Mariateresa Sartori, sono in relazione tra loro e con quelle delle collezioni antiche dell’istituzione.

Il capitolo veneziano riunisce e presenta per la prima volta le due opere fondamentali dell’intero programma OPAŁKA 1965 / 1- INFINITO: il primo Détail proveniente dal Muzeum Sztuki, Łódź in Polonia e visibile per la prima volta in Italia, e l’ultimo, rimasto incompiuto, mai presentato al pubblico e proveniente da una collezione privata. L’Alfa e l’Omega, ora riuniti, sono esposti nella Sala della Maniera.

Come scrive la curatrice Chiara Bertola: “Vederli insieme per la prima volta e poter cogliere il disegno completo di quella trama che l’artista un giorno ha deciso di tracciare è un’emozione fortissima e commovente. Il progetto che si manifesta in modo esplicito porta in sé la tragicità del suo stesso assunto: “lui non c’è più, c’è l’opera compiuta”. Insieme a questi due Détails significativi, anche una serie di autoritratti fotografici e il suono registrato della voce dell’artista, oltre a due ‘esercizi’, due ‘prove d’artista’, armoniosamente inseriti tra i violini nella Sala della Musica, che Opałka realizza poco prima di iniziare il suo programma OPAŁKA 1965 / 1- INFINITO, anch’esse mai esposte al pubblico.

Sala della musica

È con queste opere che Mariateresa Sartori instaura un dialogo nelle sale del Museo della Querini Stampalia.

Come sottolinea la curatrice: “La sua opera offre la possibilità di creare dei vuoti e degli spazi inediti di percezione e di comprensione della realtà, al di là dei significati precostituiti; consegna la chiave di accesso a nuove lingue. Grazie ad accostamenti, scarti, sovrapposizioni, intersezioni tra alfabeti diversi, l’opera dell’artista veneziana intercetta il filo sottile delle relazioni che intercorrono tra natura e artificio, epico e quotidiano, visibile e invisibile, passato e presente, oggettività e soggettività, senza mai definirsi, lasciando sempre aperta la tensione verso l’infinito… Individuare il meccanismo e la possibile parcellizzazione in cui l’infinito sembra lasciarsi imbrigliare è il fine di tutta la sua ricerca. Soprattutto, riuscire a rappresentare l’infinito in qualcosa di finito, misurabile e visibile. Proprio come per Opałka…”.

Nell’installazione in mostra, “Il tempo del suono. Onde”, esposta nella Sala dell’Antiquario, l’opera site-specific, i fogli, particelle singole di una totalità più ampia, sono ricomposti in un’unica serie continua sulla parete. Il lavoro, che traduce in forma visiva il suono delle onde del mare, rappresenta il tentativo di ascoltare lo scorrere del tempo e il risultato è un’immensa partitura musicale che codifica il flusso sonoro e temporale. Prima di arrivare nella sala dove si trova l’installazione, si percorre un lungo corridoio dove sono collocati, in sequenza, alcuni autoritratti di Roman Opałka. Durante il tragitto si ascolta la sonorità polacca della voce dell’artista, che pronuncia i numeri che dipinge. Contestualmente, risuonano queste due diverse forme di rappresentazione del tempo infinito.

Autoritratti di Roman Opalka

Il tempo è inscritto anche nelle due serie di fotografie stenopeiche, “Feuilles” e “Cronache”. Con una semplice scatola di cartone nera, tenuta insieme da nastro adesivo – a formare una fotocamera stenopeica – Mariateresa Sartori va in giro a raccogliere istantanee dal mondo sensibile, quasi una prova «che la realtà esiste». I risultati sono le piccole immagini sparse sul tavolo intarsiato nella Sala della Mitologia e quelle che ricoprono interamente gli specchi della decorazione a stucco nel Boudoir del Museo.

Cronache”, la serie di fotografie stenopeiche esposte sul tavolo nella Sala della Mitologia del Museo, costituisce uno dei lavori site-specific presenti in mostra. Le immagini sottoposte al processo stenopeico – il vecchio con la barba, il cagnolino, il fanciullo – escono dalla narrazione del proprio tempo e diventano improvvisamente e drammaticamente attuali agli occhi di chi le osserva, fatti di cronaca contemporanea che ciascuno di noi può reperire dentro la propria personale memoria. È la prova di come l’artista sia riuscita nell’intento di rendere di nuovo significativa la visione di quadri che rischiavano di non essere più visti e visibili.

Un ‘altra opera dell’artista Sartori presente in mostra, ed esposta nella Sala degli Stucchi è “Il Suono della Lingua”, una serie di 11 audiolibri, che fanno ora parte della collezione permanente del museo. Gli audiolibri conservano al loro interno registrazioni sonore di poesie, brani letterari e testi teatrali di 11 diverse lingue che, sottoposte ad un particolare processo, vengono private del loro significato per assumerne un altro in termini di musicalità, ritmo e melodia.

E’ una questione di ritmo anche l’ordine che compone la bellezza, come ci sottolinea un’altra opera in mostra, nel Portego del Museo: “Tutti quelli che vanno”. Due grafici ma anche due magnifici ed enigmatici disegni che rappresentano i flussi delle persone che camminano a Venezia in Piazza San Marco in un preciso lasso di tempo. Tale ciclo di disegni è nato grazie ai filmati del gruppo di ricerca Fisica della città dell’Università di Bologna che studia i flussi pedonali dal punto di vista fisico-matematico.

Infine nella stanza degli armadi del Boudoir è proiettato il video Omaggio a Chopin sul quale tra Mariateresa Sartori e Roman Opałka ci fu uno scambio importante su un punto nodale. A Roman Opałka, che non fece in tempo a vederlo con la soluzione formale da lui suggerita, il video è dedicato.

“Ognuno di questi artisti” scrive Chiara Bertola “ha creato un sistema, inventato una metafora, un nuovo codice, un meccanismo, un modello, pur di avvicinarsi e sfiorare l’infinito. Sempre, la dimensione emozionale ha permesso loro di tradurre gli aridi dati scientifici in qualcosa di universale e più ampio, ricordandoci che ci muoviamo nel nostro piccolo spazio quotidiano ma dentro coordinate spaziali e temporali incommensurabili”.

Autrice: Chiara Franzon

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